Una consuetudine più o meno lunga con Proust induce a non prendere troppo sul serio il confine tra oggettività e soggettività, e a non scandalizzarsi quindi se esperienze personali contribuiscono ad orientare la cosiddetta ricerca scientifica in una direzione piuttosto che in unaltra. Quando scrissi il Proust inattuale, non avrei mai immaginato che 25 anni dopo mi sarebbe capitato di provare un grandissimo interesse per tutto ciò che Proust ha scritto sullAffaire Dreyfus e che avrei addirittura riletto i Guermantes e Sodome et Gomorrhe per tentare di mettere in luce i pilastri di una teoria proustiana dell'engagement, che è proprio il colmo per un inattuale. Ma come potevo prevedere allora ciò che è accaduto negli ultimi quattro anni, ad una distanza sempre più ravvicinata, fino a coinvolgermi in prima persona (come si vedrà il prossimo 21 maggio)?

A causa di tutto ciò il libro di Piperno ha suscitato in me reazioni in parte dolorose esattamente per gli stessi motivi per cui nel 1976 mi avrebbe reso felice. Non è che nel frattempo io sia diventato ebreo. E che si può essere ebrei in vari modi: in senso stretto tutto dipende dalla mamma; ma in un senso più largo e forse più profondo c'è un ebraismo del cuore e dello spirito che può spingere chiunque a identificarsi e a com-patire quando visita Dachau o Auschwitz, e a non sentirsi per nulla estraneo: Perché non possiamo non dirci ebrei. In questo probabilmente Piperno ha ragione. Proust è infastidito da tutto ciò che circoscrive e delimita la vita dello spirito; e quindi, se ci mostra talvolta un ritratto poco lusinghiero dell ebraismo secondo la mamma o secondo la carne e la legge, come diceva qualcuno, lo fa proprio al solo scopo di esaltare al massimo quell'ebraismo universale, che è il più alto dei valori. All'Ecole des sciences politiques Jean Santeuil segue scettico e ironico dei corsi su temi come "Lo slancio verso il meglio nella penisola balcanica" oppure "Il sentimento dell'infinito sulle rive del lago Tschad" (cito a memoria). Da qui a dedurne che Jean Santeuil o Proust siano contro il sentimento dell'Infinito e contro lo Slancio verso il meglio, il passo è lungo. Ancora più enorme è la distanza tra il constatare l'inadeguatezza di qualunque carne rispetto al compito ad essa assegnato ed il negare la necessità che i valori si incarnino in realtà concrete, ovviamente sempre inadeguate come totalità, ma efficaci come segni.

Sentirsi ebrei in senso ampio, cioè in senso proustiano, significa semplicemente collocarsi spontaneamente dalla parte di Saniette e di Dreyfus e di qualunque altra vittima di una violenza collettiva. Significa sentirsi parte di ogni race maudite . Significa anche e soprattutto pensare che in fondo nulla è più importante del fare tifo per le vittime, perché questa è semplicemente la verità e non può esserci nessuna verità, nemmeno parziale, che da ciò prescinda. E poiché, secondo Proust, la letteratura altro non è se non la vera vita, ecco che il cerchio si chiude. A questa verità fondamentale ognuno può dare il nome che più gli piace. A qualcuno, non so perché, piace chiamarla cristianesimo, ad altri questo nome non piace molto. Ma i nomi — e Proust è il primo a saperlo — hanno un'importanza soltanto soggettiva e non oggettiva. Chiamatela come volete. Chiamatela magari pi greco, oppure radice quadrata di non so che, oppure, se preferite, Arte, o Romanzo. Ma prima o poi dovrete rassegnarvi a questa idea: non è possibile illudersi di aver capito Proust e di amare Proust se non ci si è lasciati persuadere da lui che la letteratura non è affatto un gioco o un passatempo per collezionisti di forme curiose, ma è invece il vero ed unico Giudizio Universale (e viceversa).

Tutto ciò per spiegare come mai, giunto a 53 anni, io abbia sentito il bisogno di rovinarmi la reputazione (si fa per dire) con due conferenze, entrambe ancora inedite, che hanno scandalizzato l'una l' America e l'altra Viterbo . La prima l'ho letta all'Università di Urbana, Illinois il 14 aprile 2000, in occasione di un convegno di proustiani; la seconda è del settembre. Il tema è quello della pietra difettosa e scartata, rifiutata. In entrambe ho dimenticato di ricordare la cosa più importante, e cioè le parole del medico che visita la nonna: Voi siete il sale della terra.