Il forumproust 2001

Marcel Proust era figlio di un’ebrea e di un cattolico francesi. Anche se sua madre rimase sempre fedele alla religione dei suoi avi, egli fu battezzato e ricevette anche la cresima. Durante l’infanzia e l’adolescenza Marcel probabilmente doveva pure recarsi in chiesa per la Messa domenicale. Nel corso della sua vita ebbe modo di frequentare molti ebrei: parenti, amici e conoscenti. Fu un acceso dreyfusista fin dalla prima ora e fu lui a ottenere la firma di Anatole France a favore del capitano Dreyfus. Attraverso il suo lavoro di traduzione dei libri di John Ruskin certamente approfondì le sue conoscenze bibliche. Al tempo della composizione del primo nucleo della Recherche frequentava pure i testi della tradizione mistica ebraica. Da una lettura in filigrana del suo romanzo principale (e in certi casi soprattutto dei brouillons preparatori) emergono sia una conoscenza profonda della Bibbia sia dello Zohar. Egli stesso, nella sua corrispondenza, si è definito a più riprese un "non credente", ma in un caso ha aggiunto — rivolgendosi a un amico ebreo — "la preoccupazione religiosa non è mai assente, ogni giorno della mia vita".

Nella Recherche tre sono i personaggi di spicco ebrei (Rachel, Bloch, Swann) e si sa che Swann è per certi versi un alter ego del Narratore, quel Narratore dietro al quale si celerebbe proprio lui, Marcel. Ci ricorda Antoine Compagnon che "Proust parla della "race maudite" comparandola a Israele, che chiama ugualmente una "race"", dando così prova della sua appartenenza a un milieu culturale in cui era potuta sorgere tra l’altro la teoria delle razze di un De Gobineau, il cui tristo utilizzo è ben noto. Diverse pagine della Recherche dedicate a rappresentare i caratteri atavici dei personaggi di origine ebraica — si pensi a Bloch — andrebbero pertanto lette, secondo alcuni, con gli occhiali ‘antisemiti’ dell’epoca, occhiali che Proust avrebbe anch’egli inforcato allorché ha descritto — prendendone, così parrebbe, le distanze — le strategie assimilatorie di molti ebrei francesi suoi contemporanei. È certo nondimeno che la diversità riconducibile all’appartenenza al popolo di Israele e quella legata alla condizione dell’omosessualità, entrambe ampiamente rappresentate e analizzate nel romanzo, possono essere lette come due condizioni passibili di esclusione sociale e che ingenerano in chi scrive la tendenza al loro occultamento. In Sodome et Gomorrhe la persecuzione di "Sodoma" è detta "simile a quella d’Israele". Ci si può dunque chiedere se la condizione di "demi-juif" con il connesso vissuto di esclusione abbia contribuito ad aprire a Proust le porte della creazione artistica oppure se quello che alcuni hanno definito l’"antisemitismo proustiano" costituisca uno dei passaggi obbligati — in una sorta di negazione di sé, della propria identità e delle proprie illusioni/passioni — che hanno condotto il nostro alla realizzazione della sua cattedrale in forma di romanzo.

Di questa seconda opinione è senz’altro Alessandro Piperno, autore di un volume sul tema in questione: Proust antiebreo, Milano, FrancoAngeli, 2000. Piperno sostiene una tesi molto provocatoria, quella del sostanziale antisemitismo di Proust, nell'orizzonte di una Weltanschauung dominata da un radicale nichilismo. In un universo dove "l'unica simpatia realmente autentica è quella verso se stessi" e dove si può provare compassione solo per la propria vita, il mondo dell’aristocrazia e quello della borghesia sono di fatto incomunicanti e reciprocamente incomprensibili, tanto che in quell’universo "la sofferenza di Dreyfus può sdegnare soltanto un animo semita, capace di figurarsi esattamente il dolore e l'avvilimento della discriminazione e non certo un componente del Faubourg Saint-Germain cresciuto nella convinzione d'esclusività della propria razza". Proust, che sarebbe cresciuto nella fascinazione dell'aristocrazia, simbolo di un mondo in cui non è necessario "volere," perché "si è", aderendo sostanzialemnte alle teorie della razza professate all'epoca, avrebbe diviso la società descritta nella Recherche in due: "da una parte collocava gli ebrei, le loro perturbanti peculiarità fisiche e morali, dall'altra poneva l'aristocrazia, minata dai vizi di casta e confortata dalle chiarezze dell'incarnato". Ci si può però chiedere: la rappresentazione della società contenuta nella Recherche è davvero così nettamente bipartita?

Piperno, portando alle estreme conseguenze il suo discorso, attribuisce poi a Proust un giudizio negativo sulla sua adesione politica al dreyfusismo, che gli sarebbe addirittura parso "uno dei più insensati errori della sua giovinezza, proprio perché nel fondo di quella partecipazione leggeva tutta l'insincerità tipica di chi prende partito, tutta l'inautenticità di chi sposa una causa, tutta la stoltezza di chi s'accontenta d'una verità manichea, tutta la viltà di chi è partigiano". Quali sono le possibili basi testuali (nel romanzo, nella corrispondenza ecc.) di un’affermazione così decisa? Sono sufficienti le rappresentazioni un po’ caricaturali del dreyfusismo di Rachel e Saint-Loup innamorati ne Le côté de Guermantes?

Ancora, secondo Piperno, il "tardo integralismo" che caratterizzerebbe Swann prima della sua morte, quando abbraccia la causa dreyfusista e arriva persino fino a rassomigliare fisicamente ai Profeti biblici, non sarebbe che una delle forme di tale manicheismo, di quella partigianeria che lo stesso Swann aveva già vissuto nel campo amoroso, durante la sua passione per Odette. Proust, andando alla ricerca delle Leggi che governano questi fenomeni, dalla passione amorosa, fino a quello che Piperno chiama l'innamorarsi di un'Idea, si sarebbe sottratto al destino cui è andato incontro uno Swann (che si rivelò un artista fallito), nel diventare un grande artista che è allo stesso tempo un "profeta del Nulla". Ciò gli sarebbe riuscito, sostiene Piperno, perché riuscì a rendere il suo alter ego, il Narratore, "un Ibrido", in nome del quale "ha dovuto sacrificare tutto: l'egotismo, il narcisismo, la passione politica, l'amore disinteressato, le gioie esclusive, insomma tutto ciò che rende tollerabile, e talvolta piacevole, la nostra vita". Possiamo chiederci se davvero le cose stiano così nel romanzo, e anche in quale rapporto stiano la "trasparenza" del Narratore e l’elaborazione della propria identità da parte dello stesso Proust. E possiamo anche domandarci un’altra volta se l’immagine di un Proust antiebreo, quella dipinta a tinte così forti da Piperno, sia compatibile con la visione proustiana della società, con quella che alcuni interpreti ritengono a tutti gli effetti la "sociologia" di Proust.

Il libro di Piperno, le cui tesi sono state qui riportate solo in piccola parte e per accenni, è un po' come la punta più 'appariscente' di un iceberg, quello degli studi e degli interventi su Proust e l'ebraismo. In effetti, nel corso degli anni, non sono pochi coloro che hanno scritto su questo tema e, recentemente, il dibattito — sempre però riservato a pochi addetti ai lavori — pare essersi arricchito di contributi non irrilevanti.

Il forumproust 2001 apre così la sua discussione a partire dalle suggestioni e dalle provocatorie tesi appena evocate. In esso vorremmo coinvolgere lettori e amanti di Proust, ma anche alcune delle voci che hanno scritto sull'ebraismo di Proust o sull'ebraismo per Proust o ancora sull'ebraismo in Proust. Ritenendo cosa quantomai utile per i partecipanti poter tenere conto di alcuni dei contributi fino ad oggi offerti sul tema, metteremo via via a loro disposizione, alla voce <materiali>, alcuni testi particolarmente significativi, oltre a bibliografie ragionate per chi volesse operare degli approfondimenti.