Juliette Hassine, Proust à la recherche de Dostoïevski, Librairie Nizet, Saint-Genouph, 2000, 172 pp

Juliette Hassine, Proust à la recherche de Dostoïevski, Librairie Nizet, Saint-Genouph, 2000, 172 pp., s.i.p.

L'autrice, docente di letteratura comparata all'Università di Ramat-Gan in Israele — con all'attivo altri saggi proustiani, in francese e in ebraico, dedicati soprattutto ai rapporti del grande scrittore francese con l'ebraismo —, in questo suo nuovo lavoro, per mezzo di un metodo indagativo paziente, minuzioso, incurante delle ripetizioni e delle insistenze, un metodo che si potrebbe definire quasi talmudico, affronta — ed è la prima volta che ciò avviene in modo organico — il significato della lettura che Proust ha operato di Dostoevskij e il ruolo che i temi dostoevskijani svolgono nell'opera del francese.

A parte le numerose allusioni a Dostoevskij reperibili nel Contre Sainte-Beuve, nella Correspondance e nella Recherche stessa, il maggior referente, il pezzo forte, è costituito dalle pagine di La Prisonnière in cui il Narratore parla con Albertine della musica di Vinteuil e da quella divaga sino a Dostoevskij, in certo modo illustrandole anche i fondamenti estetici della sua propria critica. Tale iniziativa riprende i movimenti del Contre Sainte-Beuve in cui ha luogo il colloquio di Proust con la madre a proposito di Baudelaire, e in cui si analizza soprattutto la poesia Les petites vieilles, spunto per impostare problemi come la relazione tra l'autore e l'opera, tra l'arte e la morale. Gli stessi problemi si ripresentano a proposito di Dostoevskij.

La studiosa, definita l'inclinazione proustiana verso l'autore dell'Idiota (romanzo quest'ultimo stimato da Proust il più bello tra quanti egli lesse di Dostoevskij), ci espone il suo metodo critico che studia in Proust la tematica Dostoevskij, tenendo conto anche delle corrispondenze segnalate da Proust stesso tra il romanziere russo e la grande letteratura europea, la grande pittura e la grande musica, insistendo soprattutto sul concetto di creazione (creazione di uno stile) senza ricorso alla psicologia o alla filosofia. Hassine non manca d'informazioni sugli studi di Melchior de Vogüé (1886) a proposito della letteratura russa, certamente letti da Proust, sulle traduzioni francesi in cui quest'ultimo lesse Dostoevskij, sui limiti di queste traduzioni e delle letture stesse proustiane (ad esempio Proust non conobbe I demoni) e nel primo capitolo della sezione intitolata "Tematica" affronta la questione del parricidio, che essa definisce "determinante nell'universo della creazione proustiana" (p. 32).

Nell'articolo Sentiment filiaux d'un parricide, scritto in seguito alla tragedia di Henri Van Blarenberghe (suicidatosi dopo aver assassinato la madre) e pubblicato su "Le Figaro" il 1 febbraio 1907, Hassine indaga sull'immaginario proustiano affollato di reminiscenze quali Saint Julien l'Hospitalier di Flaubert, Aiace, Edipo. Le due ultime figure, sempre a proposito di Van Blarenberghe nel Contre Sainte-Beuve, vengono accostate a Smerdiakov morente, dopo il suicidio e il parricidio. Curiosamente Hassine attribuisce a Proust "una lettura tendenziosa erronea" (p. 43) in merito alla paternità di Smerdiakov, che a suo modo di vedere sarebbe invece sfumata e indecidibile, ma in verità tale lettura era assolutamente prevalente all'epoca, sia da parte dei lettori sia da parte della stessa critica e anche oggi non è stata rifiutata da molti lettori e studiosi.

Anche nella Recherche tale motivo ritorna soprattutto per quanto riguarda i rapporti del Narratore con la nonna, della cui morte egli si attribuisce la colpa sia in Sodome et Gomorrhe sia in Le Temps retrouvé. Rispunta poi, più sfumato nell'episodio di Montjouvain e pure nell'atteggiamento impietoso del Narratore nei confronti di Swann (in certo modo suo padre spirituale) ormai vicino alla morte. Il motivo del parricidio costituirebbe così la vera spiegazione dell'ironia spietata nei confronti di Swann vecchio e malato, scagionando il Narratore, e dietro di lui Proust stesso, da quella vaga accusa di antisemitismo formulata ad esempio in Proust antiebreo di Alessandro Piperno (FrancoAngeli, Milano, 2000).

Ma un altro motivo secondo Hassine risulta centrale nel Dostoevskij proustiano, ed è rinvenibile ancora una volta nel passo fondamentale di La Prisonnière più volte citato, là dove si parla delle donne di Dostoevskij, a cominciare dalla povera Elisabetta, madre di Smerdiakov, e del suo parto nel giardino Karamazov. Le parole "episodio misterioso" e "come una creazione della donna nelle sculture di Orvieto" richiamano infatti il motivo del Genesi: Eva che nasce da una costola di Adamo e a Adamo ritorna come nei bassorilievi immaginari della cattedrale di Balbec. "Se il capitolo Dostoevskij rappresenta la faccia minacciosa del principio della creazione della donna, i bassorilievi della cattedrale di Balbec ne sarebbero piuttosto la faccia sorridente che elimina l'eventualità della vendetta e dell'espiazione" (p. 60). Il Narratore, inseguendo Albertine e imprigionandola, non farebbe altro che seguire l'istinto che porta l'uomo a ricongiungersi con la donna per sanare l'originaria separazione edenica, così come Elisabetta sarebbe portata dal medesimo istinto a unirsi con Karamazov padre, benché questi l'abbia precedentemente violata. Ma, a differenza di Dostoevskij, in Proust Eva/Albertine "non ritorna accanto a Adamo (qui il Narratore) né a titolo di anima, né a titolo di forza satanica". L'amata rimane un enigma irrisolto e l'amore "si rivela come sorgente di sterilità piuttosto che di creazione", secondo una linea estetica che non è più romantica, ma che, secondo il Narratore/Proust sarebbe fedele al dettato dostoevskijano, nella misura in cui s'incardina sulla dinamica illusione/rettifica delle passioni, di cui quella amorosa è il simbolo per eccellenza (pp. 62-63). La guerra, dice il Narratore in Le Temps retrouvé, dev'essere dipinta "come Elstir dipingeva il mare", partendo "dalle illusioni, dalle credenze, che si rettificano a poco a poco, come Dostoevskij racconterebbe una vita".

Uno dei punti salienti dello studio di Hassine è il portare alla ribalta il continuo gioco di allusioni, proprio del discorso proustiano, al mondo delle arti figurative (nel passo di La Prisonnière le donne di Dostoevskij sono paragonate alle Cortigiane di Carpaccio, mentre certi personaggi comici rimandano ai personaggi della Ronda di notte di Rembrandt), come in altre occasioni alla musica. Così si svolgeranno i capitoli centrali dedicati all'attenzione proustiana rivolta ai rapporti Dostoevskij-Baudelaire incentrati sulla bellezza e sull'antinomia Bene-Male, e particolarmente a quelli Dostoevskij-Madame de Sévigné (il famoso côté Dostoevskij-M.me de Sévigné) nonché ai rapporti tra letteratura, musica e arti figurative. Con particolare insistenza il Narratore si sofferma sulla musica di Vinteuil con i suoi interrogativi ora timidi ora pressanti e l'avverte come costruzione molto simile all'opera dostoevskijana a cui vengono accostati anche gli ultimi quartetti di Beethoven (cfr. pp. 145-152). Ma, certamente, l'analisi in forma saggistica dei rapporti tra vita e opera alla cui stesura Proust si stava dedicando negli ultimi mesi della sua vita e che forse egli pensava di far confluire nella Recherche, contiene, come mostra l'autrice, il punto più alto dell'interpretazione critica proustiana dell'altra tematica cara a Proust, rispetto a quella dello studio dell'opera dostoevskijana di per sé, e cioè appunto quella della "relazione tra l'uomo e l'opera a partire dai materiali tratti dalla vita così come dalla maniera in cui essi sono stati trasformati" (p. 105). Proust restò colpito dalla capacità del romanziere russo di continuare a scrivere nella condizione di detenuto, superando l'ostacolo costituito dalla presenza costante di altre persone nel luogo di detenzione e ne trasse la conclusione che è più facile astrarre da tale presenza che dalle sofferenze fisiche (cfr. p. 106), confermando così la centralità, nella sua riflessione estetica, del rapporto arte-malattia, ovvero l'importanza che in essa assume la preoccupazione per lo stato di salute dell'artista-creatore.

La conclusione di Hassine è semplice e coerente: è quella di Proust una ricerca di mistero e al tempo stesso di unità. E lo stile di cui è alla ricerca lo stesso Narratore viene rinvenuto procedendo "per salti da un testo letterario a un testo pittorico o musicale": "saltando dalla musica di Vinteuil alla pittura di Rembrandt ai romanzi di Dostoevskij, il Narratore diventa "il lettore di se stesso"" (p. 157). Dostoevskij si rivela così uno di quegli strategici segnavia che hanno guidato Proust nella ricerca e nel rinvenimento delle leggi e dei principi della Scrittura e la lettura proustiana del ronaziere russo, malgrado la sua incompletezza e alcuni limiti, un'interpretazione critica modernissima, che sposta l'accento dal piano 'culturale' (la "russità") a quello psicologico, fino a raggiungere appunto quello della narrazione e della composizione dell'opera d'arte, in una prospettiva che antcipa per certi versi la critica letteraria contemporanea di matrice ermeneutica.

Marco Piazza



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